-Are you coming out to play?
-To play what?
Aggiungo una nuova espressione al mio stentato vocabolario e poi esco con K.
To play.
Cammina davanti a me con un passo cadenzato, un po' di traverso come fosse su uno
snowboard -sport che infatti lui pratica- le punte dei piedi aperte, le spalle appena fuori sincrono, le braccia a fare leva. Direzione
Peckham, da
Frank's: un bar sul tetto di un parcheggio di cinque piani, attaccato a un multisala, proprio sulla
Rye.
Intanto K. mi racconta che ha tentato di spiegare handball - disciplina olimpica di un gruppo di bipedi che si passano la palla con l'uso delle mani e poi fanno gol - a un taxista east London... intanto la spiega a me.
Pare sia uno sport in cui eccellono i vichinghi (nei paesi nordici si fa tutto al chiuso), la squadra islandese per esempio è tra le prime nel mondo.
A quando quattro cantoni e palla prigioniera?
Facciamo a piedi le rampe del parcheggio, completamente vuoto (K: se parcheggi qui non trovi più la macchina) per accorgerci che Frank's apre da giovedì a domenica e quindi niente vista su Londra.
Lui neanche troppo mortificato consulta il cellulare, prima un salto al
bar story, ma troppo affollato, infine in un gastropub dalle parti di
Bellenden Road.
Dopo la terza birra
ordiniamo un coniglio (il mio pezzo pareva di un esemplare affetto da
scogliosi) un po' asciutto e accompagnato da una scodella di riso e dalla quarta pinta.
Lì arriva un amico di K., Adrian, atterrato da Berlino il giorno prima con la figlia tredicenne, che per fortuna ordina acqua naturale. Guardo la ragazza (o bambina?) come fosse una Matilde, capelli ricci neri, maglietta bianca, occhi scuri, a tracolla un borsone porta macchina fotografica, una vita giovane che non si accorge abbastanza della fortuna che ha. Oppure se ne accorge troppo. To play, part two.
K. si assenta ogni tanto per fumare e parlare con gli avventori, ne conosce molti perchè da queste parti aveva vissuto. Lui è uno del South Est.
A Shoreditch arriviamo in minicab; a K. piace il gesto, ma a chi non piace il gesto di chiamare un taxi? non più passeggeri, ma divinità passeggere, Mercurio per una sera.
Saliamo sul cab a London Bridge (dove arriviamo con un treno, drumsticks and chips, da Peckham) nel piazzale dello Shard.
Dalla
Shoreditch House si vede un pezzo di città e, ieri, un dirigibile blu che passava non certo per caso. Facile vedere il cielo sopra
Londra, da una piscina azzurra retroilluminata: mi sarei buttato dentro per il fascino indiscreto eccetera, ma alle dieci i soci non possono tuffarsi, pena la squalifica.
Così sono rimasto a parlare con un gin tonic in mano, e sulle spalle una spugna a righe bianche e rosse che faceva da sciarpa al vento di Albione. Bella vita.
Torniamo con il 58. Passando sul Tower Bridge vediamo il retro argenteo dei cinque cerchi olimpici.
E a proposito di palla prigioniera, abbiamo i biglietti per beach volley.
Storia lunga ma leggera e poi luglio... il più lungo dei mesi.