
Si vince un certo imbarazzo parlando della cucina italiana e della Ferrari, argomento quest'ultimo su cui ammetto di essere impreparato tra lo stupore dei due figli teenager, che conoscono pure la Fiat, Montezemolo e ovviamente la Formula uno.
Sulle loro facce un'espressione tipo "come è possibile che non sappia nulla?" sulla mia faccia un'espressione tipo "ci manca Montezemolo e la Ferrari..."
Io in cappotto e sciarpa sto sudando ed accuso malessere, ma arriviamo al Sainsbury's di Sydenham appena in tempo per una gelida boccata d'aria.
Dopo un'ora di spesa tra datteri spezie patate e surgelati (disposti in ordine nel carrello per essere impilati in ordine nel bagagliaio della macchina) mi accompagnano alla stazione del treno e ci salutiamo.
Un po' frastornato penso agli arabi ed ai musulmani che ho incrociato nella mia vita ed un po' più concretamente a come posso fare a cambiare le abitudini alimentari dell'asilo: nuovi menù, l'olio d'oliva che sono riuscito a far comprare, le spezie, i piatti mediterranei, la frutta... per il parmigiano devo aspettare ancora un po': mi tocca continuare ad utilizzare il cheddar cheese, un pallido emmental delle fattorie di Sua Maestà.
C'è molto da fare: in una città con una tale disordinata cultura alimentare per uno strano paradosso i menù degli asili sono abbastanza ripetitivi e di fatto sono per adulti, per niente adatti ai bambini.
Poi c'è il problema delle allergie: al lattosio, ai legumi, al formaggio, agli spinaci, al glutine, poi ci sono i vegetariani. Imporre ad un neonato una dieta vegetariana è un errore dei genitori, perché la dieta alimentare di un bambino deve essere la più varia possibile, ma variare non è semplice.
Intanto mi chiedo se la convivenza con persone di culture tra loro distanti ci restituisca un diritto di cittadinanza diverso o se invece acuisca di più la nostra originaria identità; se sia Londra ad offrire questa opportunità, se la città (la sua urbanistica, la sua varia umanità) ci offra la possibilità di evolvere verso altre identità non subito riconducibili ad una sola nazione, ad una sola cultura.
Come se i nostri nomi, i libri sugli scaffali, la lingua parlata in casa, diventassero le sole tracce originarie di un' identità altra e diversa.
So che tutto questo è in qualche modo contro corrente o forse semplicemente fa meno rumore di chi sbandiera la propria identità con orgoglio nazionalista, o con fervore religioso.
Rifuggo di natura dai proclami, preferisco libere chiacchierate attorno alla tavola.
Qualche giorno fa ho attraversato Troutbeck Road, diretto al tredici bi, a casa di Manali e David. Asmite, la madre di Manali, mi ha insegnato a cucinare il Pohe, un piatto indiano a base di fiocchi di riso, che si mangia fin dal mattino, nutriente, speziato e semplice.
Ad un certo punto Miro si è svegliato, ha quasi sei mesi. Miro è un nome che si pronuncia allo stesso modo in indiano italiano finlandese e inglese, le diverse origini dei genitori.
Miro, un nome che più che raccontare il passato parla già del futuro.
Il fra
*interessante il reportage del Guardian sull'afgano che per nove mesi all'anno fa il taxista a Londra e per gli altri tre torna in patra e da talebano combatte l'invasore inglese.